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Sarri: "Daremo il 101 per cento"

Interviste     4 Luglio 2015     Fonte: Corriere dello Sport - Il Mattino

"Scudetto? Non sarebbe onesto parlarne adesso ma farò di tutto perchè questa squadra resti tra i primi cinque club in Italia"


Sarri: "Daremo il 101 per cento" Per cominciare: ma possibile che nessuno si sia accorto di Sarri, prima di quest'anno? Dove s'era nascosto?

«Disattenzione ce n'è stata, ma non perché sia sfuggito agli occhi degli osservatori il sottoscritto: è strano, semmai, che calciatori come Croce, come Valdifiori, siano arrivati in serie A così tardi. E tutto ciò qualcosa dice».

All'improvviso, prima il Milan, poi il Napoli, e poi anche tante altre: la stagione di Empoli è stata rilevante ma, onestamente, se lei fosse stato De Laurentiis l'avrebbe preso Sarri?

«Nei panni del presidente, avessi avuto modo, l'avrei preso anche prima; così avrebbe avuto un allenatore più giovane sulla propria panchina. Però va detto anche ch'è stata una scelta coraggiosa».

Storie (anche) buffe, curiose: lei nasce a Bagnoli, in linea d'aria dal san Paolo è un battito di ciglia. Alla sua età si ha il diritto di emozionarsi?

«Lo sono e non lo nego, anche se ci ho pensato poco. Ho provato ad isolarmi dalla vicenda, quasi non mi toccasse. Poi ci ho riflettuto. Io qua a Napoli ci sono stato pochissimo, però è chiaro che ora che ci sono arrivato si scatenano i pensieri e qualche effetto lo fanno».

In sincerità, nota tracce di napoletanità in sé?

«Poche, quasi nessuna; ma perché sono cresciuto altrove. E però quando m'è capitato che qualcuno m'abbia chiesto, con un'arietta che sapeva di razzismo, ma te sei nato a Napoli? lì sì che ho avvertito il richiamo delle origini».

E invece lei, ma con simpatia, rientra tra i «maledetti toscani»...Quattro nomi non a caso: Orrico e Viciani, Allegri e Lippi, epoche e gesta differenti.

«Ma credo di non essere assimilabile a nessuno di loro. Ad Allegri e Lippi per ovvi e comprensibili motivi, viste le rispettive carriere ed i successi ottenuti; ad Orrico e Viciani per una diversità che è inevitabile. Neanche loro due avevano molti punti di contatto. Certo, uno con la Carrarese ha fatto cose egregie, che restano negli annali; e l'altro con la Ternana ha segnato un'era: però metodi di lavoro, convinzioni e teorie restavano distanti».

Le avremmo chiesto, a questo punto, se nel suo calcio ci fosse qualcosa del gioco corto di Viciani, emanazione del football totale dell'Ajax...Ma ha quasi risposto.

«Ho visto giocare la Ternana quand'ero ragazzo, a Firenze; poi poche altre volte. E non so se nell'inconscio qualcosa mi sia rimasto. Però Viciani ha ottenuto dal calcio molto meno di quello che avrebbe meritato».

E Sarri ha ricevuto tardi?

«Ora mi godo Napoli e lavoro affinché questa squadra, che ormai ha un ruolo fisso in Europa e che in Italia è tra i primi cinque club - per capacità finanziaria e tecnica - resti tra le Grandi. Già lasciarsi due società alle spalle, al termine della prossima stagione, mi parrebbe niente male».

Finirà con il Napoli che s'ispirerà all'Empoli?

«Impossibile che ciò accada. Non voglio essere ripetitivo, né riprodurre un sistema che avrà interpreti diversi ed in condizioni differenti dal passato. Vorremmo essere noi stessi, con la nostra testa e il nostro gioco e la nostra mentalità. Adatterò il mio gioco alle caratteristiche degli uomini che ho a disposizione per esaltarli».

Dicono di lei: è un sacchiano. Dunque, finirà per suggerire ad Albiol di fare i movimenti di Tonelli, così come si narra nelle leggende metropolitane facesse Sacchi spiegando a Baresi come si muoveva Signorini?

«Intanto non ho mai creduto che Sacchi spingesse Baresi a seguire gli allineamenti di Signorini; né mi spingerò io a tanto. Però so bene che nel calcio si alimentano romanzi ad uso e consumo della gente».

Lei saprà che il verbo declinato con maggior insistenza, dalla gente a Napoli, è: vincere.

«E so che bisogna essere onesti con i tifosi, senza offrire illusioni ma garantendo impegno e serietà. Poi sarà il campo a dire cosa saremo stati in grado di fare».




Cosa ha pensato quando è arrivata la telefonata di De Laurentiis?
«A uno scherzo. Sono rimasto perplesso per venti secondi, poi mi sono reso conto che era la voce del presidente ed è stata una grande soddisfazione ricevere quella chiamata, indipendentemente da come potesse finire la trattativa».

Perché De Laurentiis ha scelto Sarri, una sola stagione in serie A con l'Empoli, per sostituire un allenatore pluridecorato come Benitez?
«Forse per la personalità e il modo di giocare della mia squadra, o perché colpito dalle due partite contro il Napoli, o perché il nostro progetto basato su calciatori giovani e italiani coincideva con la sua idea del momento».

Nato a Napoli, casa e affetti a Figline Valdarno: non ha mai dimenticato la città e la squadra, però.
«Mai. Sono nato a Bagnoli, dove mio padre ha vissuto per cinque anni. È rimasto forte l'attaccamento verso Napoli e mi sembrava normale tifare per la squadra della città dove sono nato: ero l'unico a tenere per il Napoli in tutte le scuole della provincia sud di Firenze. E non è stata una passione soltanto da bambino perché a diciassette anni andai a vedere il Napoli quando giocò sul campo della Fiorentina, ovviamente nella curva dei tifosi azzurri. Quella passione per la squadra ho continuato ad averla dentro; per la città è stato diverso perché ho vissuto altrove».

Che impressione le ha dato Napoli da lontano?
«Bellezza e fascino, una delle grandi città europee, con i suoi risvolti negativi per chi ci vive».

Lei la vivrà?
«Temo di no, tuttavia proverò a ritagliarmi una mezza giornata, anche se mi piacerebbe più dare soddisfazioni alla città che visitarla».

Qual era l'idolo del tifoso Sarri?
«Juliano, era lui a quei tempi il simbolo del Napoli. E poi, ovviamente, Maradona, il simbolo storico, anche se ricorderei che in quel periodo c'era Careca, il secondo grande attaccante al mondo».

E c'era uno degli allenatori del Napoli che l'ha ispirata?
«Forse nell'inconscio possono esservi state ispirazioni, ma a livello consapevole no, perché ero troppo giovane a quei tempi per poter pensare di fare l'allenatore».

È stato a Napoli, da avversario, con tre squadre.
«Arezzo, Pescara ed Empoli. E ogni volta il San Paolo mi ha fatto impressione: sarebbe ancora più forte questa sensazione se gli spettatori fossero vicini al campo di gioco. Solo ad entrare in quegli spogliatoi e a pensare che vi sono passati Maradona e altri grandi, ti emozioni: qui c'è la storia».

È il momento più importante della sua carriera. Ha ricordato che è abituato a giocare contro i pregiudizi da quando allenava in Prima Categoria perché dicevano che era inesperto arrivando dalla Seconda.
«È l'evoluzione che ho avuto da allenatore, ogni due-tre anni ho fatto passi in avanti e ho dovuto smentire un po' di scetticismo perché ero visto come quello che veniva “da sotto”. Arrivo da una differente dimensione ed è normale che ci sia un minimo di scetticismo da parte del tifoso. Sta a me, al lavoro della squadra e della società, spazzarlo via. Comunque, inizio a girare per strada e a notare affetto intorno a me».

La preoccupa questo salto professionale che rappresenta anche un cambio di vita?
«Le pressioni ci saranno, e diverse da quelle che ho finora affrontato: più tifosi, più giornali, più tv. Ma chi fa questo mestiere deve essere pronto per affrontare le pressioni. Anzi, per ignorarle. È una capacità che devi avere anche in ambienti inferiori».

Cosa è Napoli per Sarri?
«Un momento forte, un'opportunità da vivere. La vedo come una storia positiva, l'occasione per togliersi soddisfazioni allenando la squadra per cui hai tifato, nella città dove sei nato. Ci sono aspetti professionali e umani che si intrecciano».

Che impressione ha avuto del Napoli dello scorso campionato?
«Basta vedere quattro o cinque partite, le prime, per farsi un'idea: una squadra con enormi potenzialità tecniche e straordinaria pericolosità offensiva, eppure con una mancanza di equilibrio che poteva vanificare quelle qualità. L'impressione è stata di una squadra in grado di vincere a Barcellona in una partita secca e di perdere a Empoli nel corso del campionato. Ma c'è una base di valore, un patrimonio da coltivare».

Ritrovare l'equilibrio sarà il punto di partenza del suo lavoro?
«Per tutte le squadre il segreto è l'equilibrio. Non può esistere la formazione difensivista e quella offensivista: un simile concetto è una limitazione. E la capacità offensiva di una squadra è frutto del lavoro del tecnico e delle qualità dei giocatori».

Allenerà per la prima volta calciatori d'alto livello e super pagati. Lei disse: «Per me chi guadagna 4 milioni deve dare più degli altri in campo».
«Dico la verità, non vedo una grande relazione tra le qualità tecniche e gli stipendi: ci sono calciatori che guadagnano più di quanto meritano e non mi riferisco a quelli del Napoli. Differenze tra i giocatori? Questi sono ragazzi di 25 anni a Napoli, come a Empoli, come nelle squadre di serie B. Cambiano i contorni e le risonanze, restano ragazzi di 25 anni tuttavia. Io sono in grado di parlare con chiunque, la paura non fa più parte delle mie sensazioni. Poi ci vuole intelligenza nei discorsi e nelle situazioni».

Presto conoscerà Higuain, il campione che è stato il simbolo dei due anni di Benitez con le sue luci e le sue ombre.
«Higuain è uno dei più forti attaccanti al mondo e credo che sia un giocatore che ha in canna ancora qualcosa da tirare fuori. Può fare un ulteriore salto di qualità e dare di più. Ho grandi aspettative, voglio capire se è pronto per questo passo».

Da Higuain alla difesa, tra le peggiori d'Italia nello scorso campionato: come la migliorerà, con quali uomini?
«La difesa si rafforza con il lavoro sul campo, non mi va giù l'idea che si debba farlo attraverso il mercato. Il mercato è la negazione del lavoro. Mi farebbe piacere migliorare i calciatori che ci sono anziché prenderne altri. È una sfida affascinante anche questa».

Un calciatore nuovo c'è: Valdifiori l'accompagna nel viaggio da Empoli a Napoli.
«Darà un aiuto in un percorso di crescita grazie alle sue caratteristiche, specie in fase di impostazione. Un calciatore così può velocizzare la crescita di una squadra. E ricordo che Valdifiori era nel mirino della società già da tempo».

Qual è l'obiettivo che fissa per il Napoli?
«Dare il 101 per cento, non vogliamo fermarci al 100 per cento. Dove potremo arrivare, quale sarà il nostro traguardo, ce lo dirà il cammino nella prossima stagione. Io raccolgo una squadra che ha fatto bene negli ultimi anni vincendo tre titoli. Dopo la Juve, è quella che ha fatto meglio ed è salita nel ranking europeo. L'obiettivo concreto, quello con cui apriremo la stagione, è inserire qualche giovane e qualche italiano in più, verificando se nel settore giovanile ci siano ragazzi che possano crescere ed essere utili nel tempo. Tutto ciò senza perdere competitività».

La competitività si può sintetizzare in un'ipotesi di piazzamento?
«Prematuro parlarne. Ci sono i presupposti per restare a certi livelli, dunque competitivi».

Da tifoso, non soltanto da allenatore, quale impegno prende con i tifosi del Napoli?
«Voglio essere razionale: l'impegno è il lavoro, il 110 per cento sul campo, poi vedremo dove tutto questo ci porterà. La squadra dovrà dare una sensazione di umiltà superiore rispetto allo scorso anno, avere fame e voglia di stupire. Queste caratteristiche mentali, unite a quelle tecniche, possono portare ai risultati».

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