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Interviste
Ferlaino: "Maradona è stato l'affare del secolo"

Interviste     5 Luglio 2014     Fonte: Corriere dello Sport

"Il 5 luglio rappresenta l'inizio d'una favola. Diego ci trasformò da perdenti di successo in vincenti"


Ferlaino: "Maradona è stato l Trent'anni: ma i graffi sulla memoria non lasciano tracce di malinconia. E' stato bello, anzi bellissimo, e non c'è verso di lasciarsi avvolgere in un velo di nostalgia, perché Maradona è per sempre, una cascata di dribbling a cui aggrapparsi e un palleggio nel san Paolo, tra settantamila napoletani stravolti dall'apparizione. Il 5 luglio dell'84 è ieri, è oggi è domani, è la svolta epocale, una sorta di rivoluzione geopolitica del calcio che Corrado Ferlaino consuma per i posteri: e il 5 luglio del 2014, ciò che resta d'uno stadio che va incontro alla gloria, pagando mille, duemila e tremila lire per salutare l'ultimo (l'unico?) dio è «l'immortalità» di quella belle epoque.
Cosa prova Ferlaino, oggi, ripensando a quei giorni?
«Felicità: per aver avuto la possibilità di regalare al Napoli il più grande calciatore di tutti i tempi. Le rievocazioni non alimentano inquietudine, semmai mi fanno convincere di aver concluso l'affare del secolo».
Scavi in quei sette anni.
«Sul Diego partenopeo si potrebbero riempire enciclopedie ma se c'è una cosa che vorrei sottolineare, e che forse non è mai stato fatto abbastanza, è la sua assoluta limpidezza nei confronti di Napoli: l'ha voluta, l'ha amata e non se ne è mai servito per essere veniale. Quando vinse in Messico, mi disse al telefono le devo parlare: pensai, chissà cosa mi chiederà d'aumento».
Fu un fuoriclasse pure in quella circostanza.
«Un altro al suo posto, lui che aveva il mondo ai piedi, ci avrebbe lucrato. Si accontentò di una Ferrari, che Montezemolo mi fece comprare con lo sconto».
Ha sempre sostenuto: sono stato il suo carceriere.
«Non potevo fare diversamente. Dovevo essere duro. Come a Vietri sul Mare, una sera, in ritiro, quando voleva andar via. Gli spiegai: non giochi più. E restò. Perché lui era un ribelle ma con un alto senso del dovere».
Il prurito della curiosità: lo pagò, chiaramente, una cifra.
«Tredici miliardi e mezzo di lire dell'epoca, grazie a una fidejussione ottenuta dal Banco di Napoli e attraverso l'aiuto del sindaco di allora, Enzo Scotti, al quale devo ancora un grazie. Ma i complimenti vanno fatti anche a Juliano, che restò a Barcellona e da lì non si mosse e che quando chiuse la trattativa, riuscì persino a non far lievitare l'ingaggio».
Il 5 luglio è una data simbolo.
«Perché rappresenta l'inizio d'una favola. Perché la foto racchiude il momento nel quale Napoli avvia la sua sfida al Potere. Noi eravamo andati vicini allo scudetto, in precedenza; ma quando è arrivato Diego, abbiamo capito che ce l'avremmo fatta: ci ha trasformato da perdenti di successo in vincenti».
Lui, Pelè, Di Stefano o Messi?
«I paragoni tra calciatori appartenuti a stagioni diverse sono improponibili. Ma Di Stefano non l'ho visto; Pelè ha vinto tanto ma in Europa non s'è mai misurato; Messi comincia a brillare adesso in una Nazionale che ha tanti grandi giocatori e Maradona invece ha esaltato ovunque e ha conquistato un Mondiale da solo. Dunque?».
Ha (almeno) un rimpianto?
«Soltanto gratitudine. Ci ha dato l'anima, è stato decisivo, ha reso forti i deboli, trasformando una squadra. Un giorno, in un attimo in cui mi spinsi all'eccesso con i miei pensieri, mi venne in mente una tentazione folle: vendere tutti e far giocare la Primavera rinforzata da Maradona. Sospettavo che ce l'avrebbe fatta egualmente».
E ha mai pensato di cederlo?
«Per cominciare, volevo solo e soltanto rinforzare quel Napoli. Ma lei crede che il presidente d'una squadra che ha Maradona possa avere anche per un secondo la vaga intenzione di privarsi del migliore di tutti? Sa cosa sarebbe successo? Vero che Tapie l'avrebbe portato via, ma non c'erano soldi per convincermi».
Rilegga la storia socialmente….
«Napoli aveva una sua forza, anche politica. C'erano sei Ministri, il segretario della Dc era De Mita, si costruiva il Centro Direzionale, poi rimasto incompleto. Quella era una città che sognava un futuro. Questa non ne ha: la crisi è ovunque, ma la malattia di Napoli è irreversibile e la morte è annunciata, perché nessuno si ribella».
Il Napoli è una speranza.
«Lo fu il Napoli di Maradona, lo è anche questo Napoli, che ha un bilancio sano e una squadra già competitiva».

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